Nell'anno scolastico 2016/17 con le classi quinte ci siamo divertiti ad approfondire alcuni aspetti della cultura e delle tradizioni foggiane e pugliesi, approfittando della presenza a scuola dell'insegnante, ma anche antropologo e studioso della cultura popolare, Angelo Capozzi. Inoltre ho avuto la fortuna di conoscere e collaborare con l'esperto di danze popolari Pasquale Rendiniello, dell'associazione "Musica é" che ci ha dato una grossa mano nella realizzazione del nostro progetto, il quale si è svolto anche in continuità con la Scuola Secondaria di primo grado "Alfieri". Felice, come previsto, si è anche dimostrato l' incontro con la professoressa Maria Antonietta Di Pietro, che si è rivelata preziosissima. Ne sono nate una serie di attività di cui presento una breve sintesi.
STORIA E TRADIZIONI DI FOGGIA: I TERRAZZANI.
C’è un
quartiere, nel cuore di Foggia, che conserva le tradizioni più antiche della
nostra città: è Borgo Croci. Qui
vennero ad abitare i terrazzani,
antichi abitanti di Arpi, che vivevano vendendo in città i frutti spontanei che raccoglievano nelle campagne e gli animali che cacciavano o che pescavano nei
fiumi vicino Foggia.
I terrazzani
erano personaggi dallo spirito libero, che non avevano un lavoro fisso, che erano molto
poveri, ma che comunque riuscivano a sopravvivere grazie alle loro abilità
e alle conoscenze che si tramandavano di padre in figlio: raccoglievano verdure
di ogni genere ( bietole, cicorie, marasciuoli), lambasciuoli, funghi, cardi
selvatici, liquirizia, camomilla, capperi, pere selvatiche e le lumache ( dette
“ciammaruchelle”).
Erano anche
molto abili nella caccia e nella pesca: catturavano
lepri, allodole(“taragnole”), ricci, germani reali, galline selvatiche, volpi,
anguille, rane, tartarughe. Tutto veniva
venduto e cucinato secondo antiche ricette suggerite dagli stessi
terrazzani, ricette che spesso ancora oggi
i Foggiani utilizzano nei loro
piatti tradizionali.
Le case dei terrazzani erano spesso dei
tuguri, un’unica stanza in cui i vari ambienti erano divisi da tende. Padri ,
madri e figli mangiavano tutti in un unico
piatto di creta grande e bisognava essere molto veloci se non si voleva
rimanere digiuni.
La maggior
parte delle notizie sui terrazzani, sono state raccolte dallo scrittore
antropologo foggiano, Angelo Capozzi,
che ne ha intervistato alcuni, in
particolare Giovanni Cristino, nato nel 1912, soprannominato Pantaleone, molto apprezzato per la sua
capacità di raccontare con grande ricchezza di particolari.
Tante ricette
apprezzatissime della cucina foggiana derivano da antichi piatti semplici
preparati dai terrazzani: “pizzarelle” rucola e patate, i taralli neri con il
vin cotto, il grano dei morti, spezzatino di agnello con i cardoncelli ecc.
Ogni anno il
26 luglio, in piazza Sant’Eligio (Rione Croci) si celebra la sentitissima festa di Sant’Anna, molto legata alla
tradizione dei terrazzani : è
rimasto della festa che si celebrava in
passato, l’usanza di mangiare davanti casa e per strada, le famose
‘ciammaruchelle’ e le “pettole”.
STORIA E
TRADIZIONI DI FOGGIA: I CAPRARI.
Tanto tempo fa, quando la povera gente era molto più numerosa di quella
benestante, c’era un’altra comunità che viveva in un antico quartiere di
Foggia, chiamato Borgo Caprari: era
quella degli allevatori di capre, detti appunto caprai.
Nel 1447 il sovrano spagnolo Alfonso
I di Aragona, per arricchire le sue casse, aveva stabilito che tutta la
pianura del Tavoliere dovesse essere destinata al pascolo delle greggi provenienti
in inverno dall’ Abruzzo. I pastori, per svernare al caldo in pianura e
guadagnarsi il diritto al pascolo, dovevano pagare un tributo al re: questa
istituzione fu chiamata “La dogana della
mena delle pecore” e durò circa 400 anni. A Foggia il palazzo della
Dogana, dove i pastori pagavano la tassa, è ancora visibile in piazza XX
Settembre. In primavera, con l’aumentare delle temperature, i pastori
risalivano nelle zone montuose dell’Abruzzo, più fresche e ricche di cibo per
gli armenti: questo spostamento stagionale delle greggi veniva chiamato “transumanza”.
I Caprai di Foggia,
abitanti di Borgo Caprari, provenivano dalla Campania: erano allevatori che
avevano ritenuto conveniente rimanere stabilmente nel Tavoliere. Essi iniziarono a costruire i tradizionali casalini foggiani (case
a un piano, addossate l’una
all’altra e con i tetti a due falde spioventi), che caratterizzano l’intera
città, corredati di anelli di ferro sulla facciata, per l’attacco degli
animali, e ovviamente di stalle. Ogni stalla aveva un quadro di quello che si
riteneva il santo protettore degli animali per eccellenza: San Matteo, che veniva festeggiato, con una solenne messa e
relativa benedizione degli animali, davanti alla Chiesa di Gesù e Maria, il
giorno di San Matteo, a settembre. Era quella la chiesa che ospitava il santo
in questione.
I caprai di allora si
dividevano le zone della città e andavano a vendere il latte porta a porta.
Borgo Caprari era locato tra l’attuale Chiesa di San Michele e Via Napoli.
Quasi tutto il borgo è andato perduto: restano in piedi alcuni casalini a Via
Caldara e altri in Vico Gelso, Vico Sant’Ignazio, con le “grotte” che venivano
adoperate come stalle.
Il capraro attraversava la città con la sua capra
o con una mucca e attirava l’attenzione intervallando il tintinnio di un
campanellino, infilato al dito di una mano per mezzo di un’asola di cuoio, al
grido: “U’ làtte ‘a vaccarèlle!!”. Bastava recarsi da lui con un
proprio contenitore, e all’istante il capraro, sul posto, mungeva dalle
mammelle dell’animale la quantità richiesta. L’acquirente, di solito la donna
di casa, oltre a verificare il rispetto della quantità, si preoccupava di
evitare piccole frodi che, a volte, un capraro più furbo o furfantello poteva
perpetrare annacquando sul momento il latte munto utilizzando un contenitore
tenuto nascosto.
Per dare da mangiare al
loro bestiame i caprai a volte, soprattutto in inverno, raccoglievano scarti di cucina( foglie di insalata e di verdura in
genere) per le vie della città con grossi cesti o sacchi al grido “I
frònne!!”, oppure “Uhe a chi tène ‘i scòrze!!”. Le donne
cedevano molto volentieri gli scarti ai caprai, liberandosi così di un
fastidioso ingombro.
Nel 1927, con l’arrivo
del Fascismo a Foggia, la
distribuzione del latte porta a porta fu considerata antiigienica e indecorosa per
la città e fu vietata. Ai caprai furono promesse stalle pubbliche che però non
furono mai costruite.
Col passare del tempo il Comune propose ai caprai di fare i
vetturini, di lavorare nell’azienda della nettezza urbana, per eliminare il
loro gruppo o ridurlo notevolmente. Intanto alcuni allevamenti si spostarono
nella periferia della città, visto che nel paese non era più possibile avere le
stalle e gli animali: un gruppo si spostò nel quartiere Candelaro (quando non
era ancora costruito); altri, commercianti, andarono a costruire dei capannoni
per gli animali nella zona della Cartiera.
U’ caprarìlle
Anìlle, Anìlle,
/ ‘a crepe, tu / e ‘nnànze ‘a vaccarèlle, / ijìve gerànne
/ mèntre ca màne / sunàve u’ campanìlle. / “Segnò, chi vòle u’ làtte,
/ tènghe pùre ‘a quagliàte, / che fàzze me ne vàche!!??” / “Anì,
nu pòche a me, / tènghe u’ criatùre malàte”.
Fonti: "La cucina dei terrazzani" di A.Capozzi; "manganofoggia.it" di A. Mangano
I bambini hanno sperimentato una danza popolare e hanno imparato la quadriglia comandata, grazie al supporto dell'esperto Pasquale Rendiniello.
·
LA FESTA DEI MORTI: Il 2 novembre si festeggiava
la ricorrenza dell’”anima dei morti”. I bambini pensavano che i nonni portassero
loro la “calza”, che veniva appesa in un punto della casa. La mattina si
correva dicendo “Vedi la calzetta!”. I bambini buoni, che andavano bene a
scuola, trovavano nella calza fichi secchi, noci, castagne, mandorle, mele e
pere; i bambini monelli invece avevano una brutta sorpresa ….. patate, carbone,
melanzane bacate…..
Tradizionalmente il 2 novembre si preparava
il grano cotto: si metteva a bagno il grano la sera prima e la mattina seguente
si metteva a lessare. Poi veniva condito con vincotto, noci, frutta candita o
cacao, melograno. Oggi si mettono anche i pezzetti di cioccolata.
·
NATALE: Per la Vigilia di Natale si preparavano il
capitone, arrostito o fritto, e il baccalà al ragù con le tagliatelle (“lagane”).
A Natale si preparava il sugo con la carne. Si comprava la carne per fare le
braciole; la mattina si prendevano le fettine, si metteva dentro il formaggio, l’aglio,
l’uva passita, il prezzemolo, poi si avvolgevano e si chiudevano con degli
stecchini. Il 26 si preparava il brodo
di tacchino con la semola battuta.
I dolci tipici natalizi anticamente erano:
le “cartellate”, le mandorle “atterrate”, i taralli neri e i “calzoncelli”. Le “cartellate”
si facevano con farina olio, zucchero e vino bianco; si condivano con il
vincotto, con un po’ di miele e con i confettini sopra. Le mandorle “atterrate”
anticamente si facevano con zucchero e
cacao, oggi con il cioccolato fondente. I “calzoncelli” si imbottivano con la
mostarda.
·
IL CARNEVALE FOGGIANO: A Carnevale anticamente
tutti i quartieri foggiani ( quello di “Borgo Croci”, quello di “Borgo Caprari”
ecc.), organizzavano un corteo. I partecipanti utilizzavano in genere coperte
di seta per interpretare i personaggi carnevaleschi. Ogni corteo sfilava per
suo conto e poi si incontravano e facevano festa insieme.
Vi erano dei personaggi molto
caratteristici: di Borgo Caprari era Menillo Stramaglia. Si vestiva con frack e
cilindro e, trascinando un asino, si recava, seguito da ragazzi in abiti
carnevaleschi, davanti al Comune, dove improvvisava discorsi scherzosi e
sconclusionati:
“Ursarìse,
ùrse site e ùrse rimanìte….Sandemarchìse vùjie facìte i marchìse e quìlle de
Sèrre i facìme fa’ i sèrve. Quìlle d’Ortanòve i mettìme a vvènne l’òve e quìlle
de Sturnarèlle ce mèttene i canestrèlle. Quìlle de Mònde menàtele avvàsce o
pònte e quìlle de Mòtte pigghiàtele sèmbe a bbòtte……”
Di Borgo Croci era il personaggio del “monaco
questuante”: con la faccia dipinta di nero, vestito come un vero monaco, con
tanto di cappuccio, cordone e bisaccia, andava, seguito dai suoi assistenti,
nelle case dei Crocesi e diceva: “ Sono
il monaco, vado facendo la “cerca”. Mi date qualcosa?” Anzicchè aspettare l’elemosina,
di prepotenza lui e i suoi assistenti prendevano il cibo che vedevano.
Il corteo dei Crocesi era sicuramente il
più importante: si suonavano campanelli, tamburelli, flauti, armoniche a bocca
e fisarmoniche. La terza domenica di Carnevale c’era la “Zeza-Zeza” cioè la
rappresentazione: personaggi in maschera con un canestro pieno di confetti e le
caravasce( fruste dal manico corto) in mano recitavano la “parte”, facendo ogni
tanto schioccare le fruste. L’ultimo giorno di Carnevale si rappresentava il finto funerale con tanto
di finti sacerdoti e di bara. Si utilizzava un carro senza sponde su cui veniva
riposta la bara e su cui salivano alcune persone che piangevano dicendo “ E’
morto Carnevale!”; la gente seguiva il carro.
Ai cortei carnevaleschi, che attraversavano
la città la seconda e la terza domenica di Carnevale, si univa sempre un
personaggio particolarissimo, che interpretava sé stesso e che è considerato la
maschera foggiana per eccellenza: “Ursino Stagnarello”. Ursino è descritto da
chi lo ha conosciuto come un poveraccio che viveva nei portoni. Indossava un
paio di pantaloni e una giacca scoloriti su cui cuciva i tappi di latta del
lucido da scarpe. Aveva dunque un vestito sonoro che gli serviva per attirare l’attenzione:
il suo mestiere era raccontare storie, cantare, suonare il pianino o una specie
di chitarra e chiedere l’elemosina. Aveva un figlio chiamato “Accetille”
(sedano) che fingeva di essere un domatore e lui imitando l’orso si dimenava,
scatenando l’ilarità delle persone ( perciò il nome di Ursino). Spesso lo si
vedeva all’Incoronata, dove accoglieva i pellegrini cantando le canzoni della
Madonna e suonando la chitarra e poi lo si incontrava nelle feste popolari
religiose o per le strade di Foggia. Entrava nelle cantine, faceva divertire i
presenti e si guadagnava un pasto. A Carnevale indossava anche un cilindro
sfondato e si riempiva di stagnarelli dalla testa ai piedi; poi correva
dappertutto cantava e ballava per divertire la gente.
La maschera femminile foggiana più
conosciuta è quella della pacchiana: si indossavano le gonne lunghe delle
madri, rese più ampie ai fianchi per la presenza di un “tarallo” di stoffa, un
fazzoletto in testa, le guance rosse e abiti sgargianti. Si scrivevano su
bigliettini “previsioni” per il futuro e si vendevano ai passanti.
La tradizione dei cortei carnevaleschi a
Foggia si interruppe intorno al 1960.
Fonti:"La cucina dei terrazzani", "Il Carnevale foggiano e i suoi significati" di AngeloCapozzi.
I bambini hanno interpretato "Menille e o' ciucce" e "Ursino stagnarello" in varie rappresentazioni scolastiche ( abiti realizzati dai genitori)
Ecco un canto popolare che i nostri alunni hanno eseguito in occasione del "Garibaldi day" a cura del nostro collega esperto di tradizioni popolari foggiane Angelo Capozzi.
In occasione del Natale, abbiamo realizzato la rappresentazione dal titolo
"La leggenda di San Nicola", il santo più rappresentativo della Puglia, il quale è divenuto famoso in tutto il mondo con il nome di Santa Claus, ovvero Babbo Natale. Il testo dello spettacolo è stato curato dalla prof.ssa Maria Antonietta di Pietro, la quale ha preparato i suoi ragazzi con l'aiuto di un esperto.
Fonti:"La cucina dei terrazzani", "Il Carnevale foggiano e i suoi significati" di AngeloCapozzi.
Ecco un canto popolare che i nostri alunni hanno eseguito in occasione del "Garibaldi day" a cura del nostro collega esperto di tradizioni popolari foggiane Angelo Capozzi.
In occasione del Natale, abbiamo realizzato la rappresentazione dal titolo
"La leggenda di San Nicola", il santo più rappresentativo della Puglia, il quale è divenuto famoso in tutto il mondo con il nome di Santa Claus, ovvero Babbo Natale. Il testo dello spettacolo è stato curato dalla prof.ssa Maria Antonietta di Pietro, la quale ha preparato i suoi ragazzi con l'aiuto di un esperto.
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